A caccia di biodiversità con Giambattista Rossi


Giambattista Rossi, coordinatore di Civiltà contadina Bergamo
di Laura Ceresoli
C’era un tempo in cui le pesche si raccoglievano liberamente dagli alberi, nelle minestre dei contadini faceva capolino il fagiolo monachello e il basilico non era solo un’insipida foglia verde, ma una piantina capace di solleticare le narici con il suo intenso profumo. Un’epoca lontana in cui i pomodori conservavano ancora il loro originario colore giallo paglierino simile all’oro e le civiltà contadine sapevano far festa per un buon raccolto di frumento.
Eppure oggi, di quegli anni resta solo un lontano ricordo. I vasti terreni agricoli hanno lasciato spazio ai freddi bancali dei supermercati dove la scelta di frutta e verdura è limitata a una nicchia selezionata di marchi. A decretarne il successo sono state le industrie alimentari che hanno privilegiato la coltivazione di alcune varietà a scapito di altre che, seppur gustose e saporite, sono andate via via scomparendo. A svelare questi retroscena è Giambattista Rossi che nel suo orto conservativo riproduce in purezza biodiversità che corrono il rischio di estinguersi. Il coordinatore del gruppo locale di Civiltà contadina di Bergamo è un salvatore di piante rare o, per dirla all’inglese, un “seeds saver” la cui missione è quella di ricercare e diffondere sementi rare di varietà primitive legate alle coltivazioni locali. Relatore d’eccezione a un incontro formativo organizzato all’iSchool di via Ghislandi, Rossi ha guidato gli studenti attraverso un viaggio nel passato alla riscoperta di quei valori contadini, ormai sopiti, basati sulla condivisione e la libertà. Con grande passione e dedizione, ha raccontato quel gesto antichissimo della conservazione della varietà che ha permesso all'uomo di sfamarsi, dalla nascita dell'agricoltura sino ai nostri giorni.
Tuttavia, la progressiva scomparsa di questa infinita varietà di ortaggi, cereali, legumi e frutti dalle tavole dei bergamaschi non è solo attribuibile alle scelte commerciali della grande distribuzione ma anche all’attitudine del consumatore, sempre più appiattito verso gusti standard: “Non tutti i clienti, quando vanno al ristorante, amano la sorpresa – spiega Rossi – la maggior parte della gente non è pronta a mangiare un pomodoro che ha un giusto diverso da quello che si compra al supermercato. Quando uno chef si ingegna per cucinare piatti con le biodiversità non è detto che il successo sia assicurato. Serve curiosità da parte del commensale e una certa propensione a sperimentare e a scoprire la novità, altrimenti è inutile. Ricordo che qualche anno fa la nostra associazione aveva fornito a un noto cuoco di Bergamo una particolare varietà di mandarini siciliani. Avrebbe voluto farne una salsa ma poi ha rinunciato perché quegli agrumi erano troppo saporiti e i suoi clienti non avrebbero apprezzato un sapore così diverso da quello a cui erano abituati”.
Aprire la mente verso nuove frontiere del gusto consente di scoprire un mondo parallelo dove non sono soltanto i pomodori Cuore di bue, il Ramati e il San Marzano a farla da padrone. E nemmeno le solite quattro marche di mele stipate nelle cassette degli ortomercati. Verdi, gialli, rossi, viola, a campana, a forma di cornetto, anche di peperoncini ne esistono parecchi in natura. E che dire dei fagioli? Borlotti e cannellini sono soltanto una minima parte di quanto la natura può offrire. Pensiamo per esempio al fagiolo del Tone. Trovato in località Rova del comune di Gazzaniga da Antonio Ghilardini, detto Tone, da cui ha preso il nome, questo legume è l’ingrediente principe della trippa dei morti, piatto tradizionale di Caravaggio. Negli orti conservativi dei seeds savers si possono trovare ortaggi talmente sorprendenti da sembrare il frutto delle più moderne ibridazioni genetiche: un pomodoro con quattro volte più vitamina A degli altri e un altro con il doppio di vitamina C; una zucca capace di conservarsi a temperatura ambiente per oltre due anni; un fagiolo che non provoca sgradevoli gonfiori; un cocomero di grandi dimensioni immune a tutte le comuni malattie della sua specie; una melanzana che cresce anche in montagna ed è priva del suo caratteristico gusto amarognolo. E la lista è ancora lunghissima. Insomma, i semi devono tornare alla terra per poi riempire le nostre tavole e nutrire con gusto. Per far   sì che non si estinguano e possano essere passati ai posteri, però, è necessario continuare a condividerli e a tramandarli. Serve, però, una costante attenzione alla loro tutela: “Salvare rare varietà di ortaggi italiani tramandate da generazioni può permetterci di affrontare le manipolazioni senza controllo – conclude Rossi – gli ogm sono ibridi, ovvero derivano dall’unione di due varietà naturali. La loro caratteristica è che non si possono riprodurre. In questo modo le ditte di semi si arricchiscono. La tutela delle biodiversità può diventare un grosso problema nel momento in cui la coltivazione degli ogm avviene all’aperto. Il contagio da una pianta transgenica a una autoctona avviene spesso attraverso l’impollinazione: il polline è in grado di viaggiare per interi chilometri trasportato dal vento, causando una prolificazione spontanea di piante geneticamente modificate. Per questo è necessario mantenere una distanza significativa fra i campi coltivati con biotecnologie e quelli biologici: l’impollinazione casuale infatti rischia di danneggiare e far sparire le colture biologiche, rendendo impossibile la coesistenza fra le due diverse colture”. Essere conservatori di semi è un compito spesso impegnativo e richiede assistenza e preparazione. Civiltà contadina fa prestiti di semi ai soci che vogliono diventare custodi di vecchie varietà. A fine stagione i semi vanno restituiti con il doppio della quantità prestata affinché si possa continuare a elargire semi ad altri soci. Il coltivatore deve restituire un seme pulito, sano, e, naturalmente, senza ibridazioni.  
(tratto da www.affaridigola.it)

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