di Laura Ceresoli
Una scena della pubblicità Barilla del 1987 |
Una bambina con un impermeabile giallo perde il pulmino
dopo la scuola. Intanto la mamma la attende a casa con un piatto di pasta fumante.
Sotto una pioggia incessante, di
fronte a un portone, la ragazzina trova un gattino
tutto infreddolito, lo prende, lo mette sotto la sua giacca e decide di prendersene cura. Era il 1987 e quello spot, accompagnato dalle note malinconiche di
Vangelis, diventò il più celebre tra quelli realizzati dalla Barilla. Dietro
questa geniale intuizione pubblicitaria c’è lo zampino di Giulia Romanelli, la
food styilist bergamasca d’adozione che, da quasi trent’anni, realizza campagne
stampa, cartelloni promozionali e spot televisivi che hanno un unico
denominatore comune: il cibo.
Come ha iniziato la sua carriera come food stylist?
Io preparo set pubblicitari
lavorando con fotografi professionisti. Lo faccio dal 1985. Ho cominciato un
po’ per caso. All’inizio della mia carriera, infatti, mi occupavo di grafica
pubblicitaria, poi una carissima amica di mia mamma, che faceva la food stylist,
mi ha chiamato perché aveva bisogno di un aiuto come assistente. Così ho
accettato e mi sono innamorata subito di questo lavoro, tanto che lo faccio da
una marea di anni ormai.
Questa carissima amica di sua madre era Luisa de
Ruggieri, conosciuta come la prima food stylist italiana, vero?
Sì, esatto, era
proprio lei. È stata la prima a proporre in Italia questo tipo di mestiere che
aveva imparato in Inghilterra. Una volta tornata in Italia è cominciata la sua
carriera, dapprima affiancata da alcuni assistenti, tra cui la sottoscritta, e
poi ha continuato da sola.
Ci sono dei trucchi del mestiere che Luisa de Ruggieri le
ha insegnato e che ancora oggi lei mette a frutto nel preparare i suoi set
pubblicitari?
Questo è un mestiere
in cui si impara per esperienza, al momento in Italia non esiste una scuola.
Quindi lavorare con qualcuno che lo sa fare è necessario. Inoltre questo non è
un lavoro solo di tecnica ma anche di sensibilità. I clienti sono estremamente esigenti
e l’abilità sta nel saper mettere in relazione l’aspetto estetico con le
richieste del cliente, che sono ben precise.
Insomma, deve riuscire a creare i presupposti per una
foto invitante, da mangiare con gli occhi…
Già, la difficoltà
sta proprio nel saper rendere il più appetitoso e invogliante possibile il
prodotto alimentare rappresentato nella pubblicità.
Chi si rivolge a lei ha già un’idea definita in mente di
come vuole pubblicizzare il suo prodotto o tutto è affidato alla sua
creatività?
Nel 99% dei casi c’è
un’agenzia pubblicitaria che avanza delle proposte ed è seguendo quelle linee
guida che io parto per realizzare il set fotografico più adatto alla
realizzazione di un’immagine promozionale.
Qual è stata la richiesta più particolare che le è stata
fatta?
Quella di dover contare,
uno a uno, i ditali di pasta da inserire nel minestrone della foto. Oppure
quella del cliente che in una immagine che prevedeva dei gamberi ha stabilito,
calcolatrice alla mano, che le code di gambero dovevano pesare esattamente 7
grammi. Quando si preparano le immagini per le confezioni bisogna stare attenti
a rispettare le quantità del prodotto perché esistono dei cavilli legali che
non possono essere ignorati. Foto di questo genere sono complicate perché vanno
inserite in una griglia ben precisa e se non si sta attenti si rischia di
compromettere anche il testo della pubblicità.
Pubblicità per Esselunga |
Di cosa si è occupata in questi anni?
Campagne stampa,
cartelloni pubblicitari, riviste, confezioni, ricettari, calendari, libri di
ricette natalizie e pasquali per i supermercati Esselunga. I primi anni facevo
anche promozioni e spot televisivi, ma adesso è da molto che non me ne occupo
più.
Sempre nell’ambito pubblicitario, quindi?
Sì, mai nell’editoria.
"I quaderni della tavola" Buitoni |
E i lavori più divertenti che ha svolto?
La realizzazione di
ricettari.
La sua giornata tipo?
La mia giornata inizia
molto presto anzi, comincia addirittura la sera prima, quando vado a fare la
spesa per procurarmi i prodotti necessari che occorrono per il set. Se invece
ho bisogno di cibi deperibili, come le erbe, per esempio, ci vado la mattina
stessa. Poi mi reco a Milano allo studio fotografico. Prima di iniziare è fondamentale
controllare la luce: devo vedere da che parte proviene per posizionare al
meglio gli oggetti, individuare l’altezza del punto di ripresa, eccetera. Poi
si fa una preparazione veloce di un piatto per dare la possibilità al fotografo
di impostare le foto. Quando tutto è messo a punto, si passa agli scatti del
piatto definitivo che verranno mostrati al cliente che farà le sue
osservazioni. Il prodotto viene via via modificato, a seconda delle richieste,
fino ad ottenere un risultato ottimale.
Tra l’altro lei porta sempre con sé due borse stracolme di
oggetti che le servono per lavorare…
Sì, ho due valigie
piene di posate, pentole, padelle, piatti, ciotoline, scolapasta, pelapatate,
pennelli, bisturi, pinzette, forbici, colori, oltre ai cibi che compro per il
set. Se qualcuno vedesse le mie borse non riuscirebbe a capire che lavoro
faccio.
Non sono i clienti a fornire la materia prima, ovvero il
cibo che serve per le foto?
Dipende. Dalle
aziende di solito arrivano cartoni che contengono 25 chili di pasta, ma se si
tratta di fare solo un paio di foto è uno spreco. Quindi preferisco comprare io
il mio pacco di pasta.
La pasta al Tonno Rio Mare |
Il cibo più difficile da immortalare?
Il tonno.Come mai?
Il tonno è un cibo molto delicato, crea moltissimi problemi. Visto che non si riesce a usare il pesce nelle scatolette, il cliente ci fornisce dei grossi filetti di tonno. Ma selezionare e tagliare il pezzo che ha le caratteristiche migliori è alquanto difficile perché spesso la qualità non è perfetta. Il suo colore naturale è grigiastro e viene trattato per diventare rosa. Se è troppo grasso, ha delle iridescenze o dei colori strani, crea delle difficoltà al fotografo perché lo scatto non rende. Per non parlare di quanto è sgradevole l’odore di pesce che invade lo studio.
Come avviene questo lavoro manuale di messa in posa del
prodotto?
Il grosso lo faccio
io, ma poi serve collaborazione di tutti, si accettano consigli.
Per una campagna pubblicitaria quante persone servono?
In generale io lavoro
in coppia con la mia assistente. Poi naturalmente c’è il fotografo che non è
sempre lo stesso, ma ci viene suggerito di volta in volta dai clienti o dalle
loro agenzie di comunicazione.
Lei non fa mai fotografie?
Sì, scatto foto ma
unicamente per passione e divertimento, è solo un hobby. Per lavoro, invece, mi
occupo solo del set pubblicitario. Le fotografie le lascio fare ai
professionisti.
A Bergamo esistono altre food stylist?
Che io sappia no. Tra
l’altro anch’io, pur vivendo in Bergamasca, svolgo il mio lavoro a Milano.
Quali sono i fotografi più importanti con cui ha
lavorato?
Ho iniziato negli
anni ’80 con Mario Zappalà che ai tempi era molto in voga. Ho lavorato anche
con Carlo Frattini, Ezio Frea, Raffaello Bra. L’affiatamento con il fotografo è
molto importante nella realizzazione dei miei lavori, se poi c’è anche una
sintonia di gusto le cose vanno meglio. L’importante è essere estremamente
adattabili e pazienti.
Ha lavorato anche con vari registi famosi. Un nome fra
tutti?
Alessandro D’Alatri
col quale ho collaborato per una pubblicità e che poi è diventato un celebre
regista di cinema. Sono anni, però, che non mi occupo più di spot per la tv.
Il tonno Palmera, con
quella specie di Indiana Jones che teneva un pappagallo sulle spalle. Ma anche
la celebre pubblicità della Barilla con la bambina che trova un gattino
infreddolito e bagnato dalla pioggia e lo porta a casa. Oppure quella del dado
col bimbo che dice “Papà guarda, un pollo!”.Lei ha la passione per il cibo anche nella vita o è solo un’esigenza lavorativa?
Saper cucinare e amare il cibo è fondamentale. Per me è una tradizione di famiglia, mia nonna e mia madre sono sempre state delle ottime cuoche e hanno trasmesso questa passione a me, ai miei fratelli e alle mie cugine fin da piccoli.
Quando ha tempo le piace mettersi ai fornelli?
Sì, moltissimo.
Il suo piatto forte?
Non saprei. Mi piace
provare piatti diversi, amo soprattutto i cibi di altri Paesi. Ho una quantità
di libri di cucina mostruosa a casa e mi piace sperimentare. La mia è una
continua ricerca culinaria.
Quale cucina etnica predilige?
Quella indiana, mi
piacciono i cibi speziati.
Invece cosa ama della cucina bergamasca?
I casoncelli.
Come mai ha scelto di vivere a Gorle pur lavorando a
Milano?
Il mio compagno è
bergamasco, quindi ho scelto di trasferirmi in una zona più a misura d’uomo dove
mi trovo infinitamente meglio rispetto a Milano che, invece, è una città, a mio
avviso, piuttosto faticosa e caotica.
Se dovesse scattare una fotografia istituzionale per
rappresentare Bergamo all’expo 2015, quale prodotto enogastronomico
sceglierebbe?
Mi inventerei
qualcosa con la polenta che è il cibo più caratteristico, magari abbinata a prodotti
tipici della tradizione lombarda come insaccati e formaggi. Però anche i
casoncelli…
(Tratto da www.affaridigola.it)
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