La trippa orobica che piace anche a Gordon Ramsay

Gordon Ramsay
di Laura Ceresoli
(tratto da Affari di gola)

È una delle zuppe più tipiche e succulente della tradizione orobica. In brodo, in umido, con una spolverata di parmigiano o accompagnata da una fetta di polenta, la trippa è un gustoso misto di frattaglie, verdure e spezie che di recente sta tornando in voga sulle tavole di molti ristoranti. Piatto unico per eccellenza fin dai primi del Novecento, questa pietanza nel corso degli anni ha vissuto alterne fortune. Già, perché l’idea di mettere sotto i denti le viscere di un bovino di certo non piace a tutti. Se da un lato le vecchie generazioni non hanno mai smesso di apprezzarla, dall’altro c’è anche una folta schiera di giovani pronti a storcere il naso appena ne sentono pronunciare il nome. 

Eppure, superato lo scetticismo iniziale, anche i più schizzinosi dopo il primo cucchiaio si convertono irreversibilmente al gusto tondo e confortante della trippa. Negli anni del boom economico questa minestra del quinto quarto è stata accantonata dai ristoratori orobici che la ritenevano troppo povera e di non facile preparazione nell’era frenetica del benessere. Da qualche tempo, però, la trippa è tornata timidamente a farsi viva, soprattutto in quei locali che hanno scelto di rispolverare le radici attraverso i piatti tipici della tradizione. Osterie valligiane, trattorie di città ma anche ristoranti stellati la propongono sempre più spesso, nel menù del giorno o da asporto, nei periodi più freddi dell’anno. Persino rinomati chef internazionali, come il britannico Gordon Ramsay e il suo omologo in “Cucine da incubo” Antonino Cannavacciuolo stanno cavalcando la crociata della trippa servita nelle sue molteplici varianti, da un ruspante panino fino a una più raffinata trippa di agnello con tempura di gamberi rossi. E così da piatto nazional-popolare di sagre e feste di paese, questa specialità d’altri tempi si è tramutata in un piatto intrigante, che mette d’accordo tutti, o quasi.


LA TRADIZIONE
All’inizio del Novecento erano soprattutto gli uomini che frequentavano le osterie di paese con cucina casalinga a richiedere la trippa. Nelle trattorie della Bergamasca erano ammessi solo clienti maschi e sposati che, dopo le nozze, erano soliti fare un salto al ristorante per ricevere una sorta di investitura assaggiando un cucchiaio di trippa. Le donne invece in osteria entravano soltanto per riempire la pentola e portare a casa il cibo. Ancora oggi in tante case e ristoranti dell’alta Valle Brembana, la vigilia di Santa Lucia equivale al pentolone di trippa, la cosiddetta büsèca, che bolle sul fuoco dal primo pomeriggio. All’agriturismo Ferdy di Lenna, per esempio, questa specialità non manca mai in inverno. La preparano tagliata a pezzetti con piedino di vitello disossato, fagioli bianchi e pomodoro fresco. Può essere servita come minestra oppure come secondo piatto, accompagnata da un contorno di polenta bergamasca.

O SI AMA O SI ODIA
Ol Giopì e la Margì 
La trippa è una zuppa di verdure miste e frattaglie costituite dall’apparato digerente dei bovini, fra l’esofago e lo stomaco. Per questa ragione la sola descrizione la rende assai poco appetibile ed anche l’autorevolezza di molte buone forchette fatica a convincere ad un assaggio i più restii. Come spiega Alioscha Foglieni, co-titolare del ristorante Ol Giopì e la Margì di via Borgo Palazzo a Bergamo: «Noi serviamo la trippa da oltre vent’anni. Non la toglieremo mai dal menù perché amiamo valorizzare le tipicità bergamasche e la trippa fa parte dei sapori tradizionali della nostra cultura. La prepariamo con sedano, carote, cipolla, pomodoro, patate e fagioli. Per farla conoscere anche ai più scettici abbiamo pensato di proporla come antipasto all’interno di una selezione di cinque assaggini misti del nostro territorio. Così molti clienti dopo averla provata ne rimangono colpiti e ci chiedono di averla come piatto di portata. Anche i turisti la provano e la apprezzano».

BERGAMASCA, MA NON SOLO
Ferdinando Testa
Veneta, romana, toscana o genovese, quasi ogni regione e provincia ha la sua ricetta per la trippa. Si va dalla trippa di Brescia in brodo di verdure alla “busecca” alla milanese, passando attraverso la trippa calabrese “ara carvunara”, solo per citarne alcune. Paninozzi croccanti con lampredotto o fette di pane sciocco e trippa solleticavano i palati dei fiorentini già ai tempi di Lorenzo de’ Medici. In provincia di Torino c’è persino la Confraternita della trippa che vanta origini trecentesche. La versione originale della trippa alla Bergamasca è in brodo. Tuttavia ogni cuoco ha la sua ricetta.
«Per una trippa perfetta – spiega Ferdinando Testa, titolare con la sorella Antonella del ristorante La Ciotola di viale Papa Giovanni – consiglio di utilizzare interiora di qualità e un mix di verdure di stagione e spezie. La cottura dev’essere lunga e lenta: servono circa tre ore. In generale più la trippa cuoce e meglio è. I nostri nonni dicevano che il giorno dopo è ancora più buona».


UN GUSTO INTERNAZIONALE
In antichità i greci cucinavano la trippa alla brace, i romani invece la utilizzavano per preparare salsicce. Ma anche oggi questa pietanza è presente nelle cucine tradizionali di tutto il mondo. Al nord della Francia, in Normandia, si fanno la Tripes à la mode de Caen o la Tripes en brochette de la Ferté-Macé mentre al sud c’è il Pieds et paquets, una gustosa specialità marsigliese. La trippa si trova anche in Romania, sia in umido (Chkémbè tchorba) che in brodo (Ciorba de burta), e in Medio Oriente (İşkembe). C’è poi il ristoratore bergamasco Venanzio Poloni che è riuscito a portare la trippa alla bergamasca fino a Medjugorie: apprezzatissima dai pellegrini, è diventata una delle pietanze di punta del suo Hotel Stella Maris insieme al capù di verze. Anche Ferdinando Testa conferma la propensione degli stranieri per questo piatto tipico: «Per molti anni la trippa era scomparsa dal nostro menù – evidenzia -. Il nostro è un locale di grande passaggio turistico e ci si era convinti che un piatto così non avrebbe funzionato. Di solito era più ricercato nelle trattorie tipiche bergamasche. Tuttavia da un anno a questa parte abbiamo deciso di rivoluzionare il nostro menù andando alla scoperta delle pietanze della tradizione, trippa compresa. È stato un successo – rivela -. A ordinarla sono soprattutto i clienti dai cinquant’anni in su che vanno alla ricerca dei sapori della loro infanzia, mentre i giovani restano molto scettici. La trippa è molto amata anche dagli stranieri, soprattutto da chi proviene dai Paesi nordici, inglesi ma anche dai francesi, che in fatto di zuppe la sanno lunga».

IN CUCINA

Ai fornelli ogni chef ha il suo stile nel preparare la trippa. Celebre è per esempio il foiolo del ristorante Lio Pellegrini di via San Tomaso accompagnato da una fetta di polenta grigliata. Rispetto ad altre preparazioni tradizionali, la ricetta di Giuliano Pellegrini è più leggera. Per iniziare niente aglio, pancetta o lardo ma solo olio d’oliva e due piccole cipolle anziché il mezzo chilo di un tempo. Anche la cottura cambia: due ore anziché quattro. Vincenzina Salvi, cuoca dell’albergo Centrale di Fino del Monte punta invece sul gusto delle verdure e degli aromi. Per quanto riguarda la carne, oltre allo stomaco della mucca, la cuoca mette il ginocchio di maiale per dare più sapore: «Una buona trippa dev’essere fresca. La carne va fatta bollire bene con una spruzzata di acqua e aceto. Poi metto in pentola a freddo tutti gli ingredienti. Con gli ortaggi di stagione e le erbe ci si può sbizzarrire. Personalmente metto di tutto tranne i piselli o le carote perché sono troppo dolci. Nella mia trippa c’è anche il ginocchio di maiale, un’aggiunta che nella ricetta originale non è prevista. Infine metto la passata di pomodoro, salvia, rosmarino, prezzemolo e alla fine regolo con il sale, ma senza esagerare perché più la zuppa bolle più diventa saporita. A tavola c’è chi la aggiusta la trippa con il pepe, il peperoncino, i crostini di pane o il parmigiano. Io consiglio di consumarla al naturale, senza formaggio perché rende la trippa più acida falsandone il sapore».

IL PIATTO DEL GIORNO
Susi Assolari e Walter Brembilla
Per lo chef Walter Brembilla della trattoria “Come una volta” di Desenzano Albino preparare la trippa per i clienti è una gioia, come conferma la titolare Susi Assolari: «Da sei anni a questa parte abbiamo scelto ottobre come il mese della trippa. È un piatto molto particolare, non piace a tutti, quindi non lo teniamo nel menù tutto l’anno ma solo per un periodo limitato, sia a tavola che da asporto, in concomitanza con la festa della Beata Vergine del Miracolo della Gamba. Quando c’è, però, la ordinano in molti. Grazie al passaparola arrivano da noi parecchi clienti soltanto per assaggiare la trippa. Se qualcuno ce lo chiede con anticipo al momento della prenotazione, gli possiamo preparare la trippa su richiesta. Il nostro chef adora cucinarla anche se il procedimento è lento e lungo». All’albergo Centrale di Fino del Monte la trippa non manca mai, nemmeno nei mesi caldi: «Preparo trippa in umido tutti i giorni, estate e inverno – conferma la cuoca Vincenzina Salvi –. Qui da noi è sempre disponibile nel buffet e la si può mangiare a volontà. Piace moltissimo».

FRESCA O PRECOTTA
In lattine, tetrapak o bustone surgelate, tra gli scaffali del supermercato o nel banco frigo spuntano parecchie confezioni di trippa adatte a chi non ha tempo di mettersi ai fornelli. Bastano pochi minuti al microonde per ottenere una zuppa fumante come al ristorante. Metodi culinari rapidi che tuttavia piacciono poco a Fabio Magri, titolare della macelleria Magri di Chiuduno: «C’è stato un momento storico in Italia in cui abbiamo perso la tradizione delle nostre nonne e abbiamo optato per una cucina veloce. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi più tradizionali. Per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato. Con il cibo in scatola è un altro pianeta, ci sono troppi conservanti. Per fortuna da qualche tempo la gente sta ritornando alle radici, prestando più attenzione agli ingredienti sani».



I NOMI E LE PREPARAZIONI

BUSECCA: dal tedesco Butze, è il nome lombardo, perlopiù milanese, usato anche in Bergamasca. Prevede l’utilizzo di tutti i tagli dei prestomaci, dello stomaco e perfino della prima parte dell’intestino (quello che i romani chiamano pajata).

CUFFIA: altro nome del reticolo, di forma globosa.

FOIOLO: (detto anche millefoglie o libro) identifica l’omaso, ovvero la parte che molti ritengono la migliore sia in cottura sia per il gusto delicato. I piatti che ne prevedono l’utilizzo esclusivo ne prendono il nome.

LAMPREDOTTO: nome fiorentino della trippa ricavata dall’abomaso, ovvero lo stomaco. È un tipico cibo da strada, ideale per farcire panini. Prende il nome dalla lampreda, un’anguilla primordiale di cui ricorda la forma e il colore.

RICCIA: è il nome più diffuso della trippa ricavata dalla parte più pregiata dell’abomaso (detto anche gala). È caratterizzata dalla presenza di creste violacee che conferiscono alla trippa un sapore più intenso.

Qualche indirizzo dove gustarla in Bergamasca:
In città: La Ciotola (viale Papa Giovanni) – tutto l’anno; Ol Giopì e la Margì (via Borgo Palazzo) – tutto l’anno; Trattoria Lozza (via Madonna del Bosco) – da ottobre a febbraio.

In provincia: Trattoria Moro da Gigi (Desenzano di Albino) – da ottobre a maggio nel menù del giorno e da asporto; Trattoria Come una volta (Desenzano di Albino) – nel mese di ottobre in occasione della festa della Madonna della Gamba e su prenotazione durante l’anno; Hosteria del Vapore (Carobbio degli Angeli) – piatto del giorno da settembre a marzo; Antica Locanda (Clusone) – una volta al mese come piatto del giorno; Albergo Centrale (Fino del Monte) – tutti i giorni dell’anno; agriturismo Ferdy (Lenna) – nei periodi freddi e in occasione di Santa Lucia; Al Platano da Gira (Foresto Sparso) – piatto del giorno nei periodi più freddi dell’anno; Polisena “L’altro agriturismo” (Pontida) – nel menù autunnale; Albergo ristorante Da Gianni (Zogno) – serate a tema nel mese di novembre.

Le sagre: Festa della trippa di San Pellegrino (Santa Croce) – settembre; Sagra del Casoncello d’autunno a Strozza, con sfida tra casoncello, trippa e pizzoccheri – metà ottobre.

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