La storia di Jack: "A Filadelfia inseguo il sogno americano"

Di Laura Ceresoli
Matteo "Jack" Donadoni
Filadelfia – “Cameriere, che piatto mi consiglia?”, chiede indeciso un robusto cliente statunitense nel leggere con attenzione il ricco menu dell’Osteria Philly. Porchetta tonnata, ravioli alla robiola, polenta e coniglio o pizza al taleggio sono una forte tentazione per il suo stomaco affamato. Difficile biasimarlo, d’altronde. Abituato com’è a tutti i prodotti industriali e confezionati propinati dalle grandi catene di distribuzione, l’americano medio sembra spaesato quando si trova di fronte a un vero ristorante italiano dove la qualità enogastronomica regna incontrastata. È in questo locale di Filadelfia, in cui i classici della cucina mediterranea si mischiano ai sapori più strutturati del nord Italia, che il 40enne bergamasco Matteo Donadoni ha trovato casa da pochi mesi. Sono stati gli chef Jeff Michaud e Marc Vetri a volerlo come manager in uno dei loro locali.
Nato e vissuto a Pontida, Jack (come tutti lo chiamano negli Usa) ha iniziato a muovere i primi passi nell’ambito della ristorazione all’età di 15 anni per pagarsi gli studi. Finita la scuola, tra il 1994 e il 1997 ha lavorato per il ristorante Frosio e poi è partito per la California dove lo chef siciliano Piero Selvaggio gli ha offerto un posto nel suo locale di Valentino, a Santa Monica. Nel 2001 è ritornato alle radici orobiche, dapprima al Donizetti in Città Alta, poi all’enoteca cittadina Vini e Spiriti di via Paglia, allora di proprietà di Pellegrini Distribuzione. Ma la nostalgia per gli Stati Uniti è tornata ben presto a farsi sentire. A fine 2006, Matteo si è trasferito a Filadelfia dove alcuni amici americani lo hanno voluto come manager e sommelier per il loro ristorante. Tra il 2009 e il 2015, Donadoni ha alternato una serie di lavori come manager, gestore di cucina e chef in alcuni locali orobici tra cui la Cafeteria a Treviolo e la Cantina di Via Colleoni in Città Alta. Dopo aver gestito per due anni la nuova salumeria gastronomia De L’Ol Fa di Osio Sotto, a gennaio di quest’anno Jack ha deciso di inseguire ancora il sogno americano. E così ora è manager all’Osteria di Filadelfia: “All’estero – spiega Donadoni – si hanno più opportunità di crescita in carriera. Puoi gestire in full un ristorante e interagire con molte persone. All’Osteria dove lavoro attualmente si contano circa 35 dipendenti. A Bergamo, invece, tutto è in mano a piccole imprese o a famiglie, il che rende vana la possibilità di gestire in pieno qualsiasi cosa. Inoltre mettersi in proprio oggi è molto difficile, richiede troppi soldi”. Forte dei suoi 3.502 “Mi piace” su Facebook, la pagina dell’Osteria Philly conta 341 recensioni. Merito dei continui aggiornamenti e delle numerose foto che immortalano i succulenti piatti che escono dalla cucina del locale. “Cibo eccellente e ben servito da staff competente”,  scrive Linda Chill Ellis. “Osteria è la miglior esperienza gastronomica di Filadelfia”, dice Susan Matthews. E anche su Tripadvisor i giudizi positivi non mancano: “Ristorante molto raffinato che ricorda molto le osterie tipiche dell'Umbria e della toscana. Il cibi è ottimo. Ovviamente non puoi aspettarti di mangiare come in Italia, ma vista la distanza e il cibo americano, questa è da considerare un'oasi nel deserto”, commenta Giorgio Magnio di Avellino. “Il locale ricorda le vere trattorie italiane, con tavoli rustici e tovaglie in carta. È ben frequentato e parecchio affollato, quindi non proprio ideale per una cena di lavoro nella quale si vuole parlare in tranquillità. L'offerta culinaria è discreta, ma risulta di media qualità per i gusti a cui è abituato un vero italiano. Carta dei vini molto buona”, spiega invece Lorenzo B di Voghera. Su 275 recensioni, 136 utenti lo giudicano “Eccellente”, 71 “Molto buono”, 46 “Nella media”, 12 “Scarso” e 10 “Pessimo”. E così attualmente l’osteria è al 98esimo posto su 3.851 locali presenti a Filadelfia. Per informazioni e per conoscere la carta completa www.osteriaphilly.com.

Intervista a Matteo Donadoni
Con quali piatti cerca di far conoscere la cucina bergamasca agli americani? 
All’Osteria serviamo piatti di cucina nord italiana tra cui polenta e coniglio, schissol, casoncelli. Insomma, cerchiamo per quanto possibile di comunicare la tradizione e la cultura bergamasca.
Quanto è importante internet per promuovere la sua attività?
Pizza con taleggio e porcini
Qui in America il 50% del business è basato sui social media. Ogni giorno dobbiamo mettere un post in Facebook, Twitter, Instagram. Tutto viene comunicato via internet, sia usando il sito, sia tramite email. Il 90% delle prenotazioni viene fatto via web.
Cosa ne pensa delle recensioni di Tripadvisor?
Penso che Tripadvisor sia utile, ma va preso con le pinze. Non credo a tutto quello che si dice, la recensione di un ristorante è molto personale e soggettiva. Io preferisco provare di persona.
Com'è cambiata la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media?
Per me è peggiorata, non si ha più la sorpresa di andare in un ristorante, si sa già tutto prima e a volte si esagera. Troppi post o tweet diventano noiosi. Penso anche che non si debba sempre per forza scrivere una recensione. A volte il ristorante non è perfetto, ma, se si è in ottima compagnia, si passa comunque una felice cena.
Un difetto dell’America?
La mancanza di cultura enogastronomica. Molti clienti non capiscono cosa ci sia dietro un piatto di pasta o un secondo. Tuttavia le cose stanno un po’ migliorando col passare del tempo.
Gli stranieri hanno ancora una visione stereotipata della cucina italiana?
A Filadelfia è così. Qui ci sono molti italiani immigrati negli anni ‘30 dal sud e per loro cucina italiana significa ancora spaghetti e polpette, veal scaloppini, chicken con marsala, funghi o vino bianco. E soprattutto aglio in abbondanza!
Cosa le manca di Bergamo?
La famiglia, gli amici, il vivere contadino, la polenta e i prodotti artigianali. Qui quasi tutto è industriale, bisogna leggere bene le etichette dei prodotti per valutare al meglio gli ingredienti. In Italia, invece, si va sulla fiducia perché di media è tutto più sano.
(Tratto da www.affaridigola.it)
 

 

 

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